DIVAGAZIONI
di Jacopo Masini
Mollette torna con un numero di divagazioni.
Si apre così una nuova stagione di storie, frammenti, immagini, tutte stese ad asciugare, ma pencolanti, in bilico, appese a un filo, che stanno lì non si sa bene come e perché. Anzi, perché non si sa, come in fondo racconta questo pezzo clamoroso degli Hot Chip in cui compare a un certo punto, formata dalle luci, la scritta WHY MAKE SENSE:
Ritmo, luci, desiderio smodato di lanciarsi nel mondo e prendere le cose che arrivano come avvertimenti immotivati, sbalordimenti e provare a collegare le cose sull’onda di una altrettanto immotivata gioia, che può dare pace, oppure irrequietezza, ma sempre con dentro una vitalità che è la vita. Senza vitalità la vita si spegne e perdersi è un bel modo per tenersi vitali e dunque vivi. Magari disorientati, a tratti malinconici, persino tristi, ma vitali, come le sbalordite e impassibili vestali che danno il titolo al dipinto di Paul Delvaux che apre questo pezzo, nato proprio dal desiderio di smarrire la rotta dentro mille cose belle che incontro nelle mie scorribande notturne davanti al computer, in cui inseguo musica che mi piace, foto, dipinti, pezzi di film, detriti abbandonati dentro YuoTube. E una foto di Pomponesco di Luigi Ghirri, rispuntata come un miracolo dopo un pranzo con Davide Bregola proprio là, a Pomponesco, che c’entra con gli Egizi, ai queli sarà dedicato il prossimo numero.
Ecco la foto:
Quella porta senza porta si apre sulla neve che copre il primo argine del Po. Uno scarto della realtà, vista così, come accade in questo dipinto di Dorothea Tanning dove le bambine giocano e vengono risucchiate dalla parete dietro gli strappi aperti nella carta da parati e nella realtà, per l’appunto:
Quando ha avuto inizio questa smania di capire tutto?
Quando abbiamo iniziato a pensare che avessimo la possibilità di raccogliere dettagli, informazioni, pensieri, ragionamenti astratti, pezzi di mondo, metterli insieme e capire tutto e tutto insieme?
È impossibile capire la vita tutta insieme, mi viene da pensare, è vasta quanto l’Universo, dentro la nostra testa non ci sta tutta, non ci sta tutto. Non riusciamo a ricordare i sogni, come possiamo ricordare la realtà?
Così, mi viene da pensare allo stralcio di una cosa scritta da Gianni Celati, al quale torno spesso, forse proprio perché ha scelto di perdersi ogni volta, con ogni nuovo libro scritto o tradotto, e di non inseguire la paranoia della intenzioni - quella che fa inceppare Bartleby lo scrivano, con la sua frase magistralmente tradotta proprio da Celati con ‘avrei preferenza di no’ -, una frase riportata su volume pubblicato da Quodlibet e intitolato Il transito mite delle parole.
Formare immagini, presentarle agli altri, esporsi al mondo e lasciarsi attraversare. Raccontare storie non serve a capire il mondo, ma a guardarlo, a prendere confidenza, a soffermarsi su una miriade di dettagli che non fanno niente per venirci incontro.
Il nostro compito, forse, non è capire la vita, ma accettarla.
Come in questa pagina spuntata a caso una sera, prima di coricarmi, presa dalla libreria con l’intenzione che mi accompagnasse nel sonno, un posto dove non si capisce mai niente, ma sognare è sempre una avventura sbalorditiva.
È un passo di William Carlos Williams, da Patterson:
È pericoloso lasciare scritto quello che si è scritto male. Una parola a caso, sulla carta, può distruggere il mondo. Sta' attento e cancella, fintanto che è in tuo potere, dico a me stesso, poiché tutto quel che si scrive, se sfugge, può penetrare in mille menti, corrompendole, e il grano divenire nera golpe, e tutte le biblioteche essere rase al suolo dal fuoco come conseguenza.
Solo una risposta: scrivi senza troppa cura così che nulla che non sia verde sopravviva.
USCITA DI EMERGENZA
di Elisa Rovesta
Uscita di sicurezza. Quando sono in un teatro, in un cinema, o in altri luoghi grandi e magari affollati, mi piace vedere l’insegna che indica “uscita di sicurezza”. Si, quella che ha le lettere verdi, che si vedono anche se c’è buio, soprattutto se c’è buio. Mi piace cercarla con gli occhi. Mi fa sentire che posso andarmene quando voglio da quel posto, e che è facile andarmene e non devo chiedere il permesso a nessuno. Infatti, è sufficiente aprire la porta per uscire, anche nel buio della sala. Già, amo l’insegna che indica “uscita di sicurezza”, me la tatuerei quella scritta, se non fosse che da me stessa so di non poter scappare, e poi nemmeno lo voglio scappare da me stessa. La composizione dei profumi, le note di testa, cuore e fondo. Cavoli quanto mi piace questa cosa della composizione dei profumi, e se si mettono insieme l’ambra e l’iris, io me li vedo danzare insieme questi due elementi e poi rincorrersi, e infine abbracciarsi. Poi mi riprendo, e mi dico “Elisa, sei un po' troppo fuori”. Così torno lucida e attribuisco la mia passione per i profumi all’interesse che nutro per la prossemica degli spazi. Infatti, il profumo riempie gli spazi, e a quello spazio si può dare l’intensità che si desidera, se ci sono iris e ambra…basta, basta la smetto. No, un’ultima cosa. Che dire dei nomi dei profumi? Ogni nome ha una storia. Prendiamo il profumo “Misia” di Chanel, è il nome della grande amica di Coco’. Misia è colei che le ha dato il coraggio e la forza per proseguire nel suo lavoro, e di uscire dal momento critico che Cocò stava passando. Insomma, Misia è stata la sua uscita di sicurezza. Il gelato mi piace da morire, e si, lo ammetto, Pino Pinguino è il mio gusto preferito. Ricorda il gusto dei cremini Fiat, che nella vita mi sono costati almeno tre otturazioni ai denti e qualche devitalizzazione. Certo, Pino Pinguino è un nome particolare da dare a un gelato, quando lo ordino lo faccio a bassa voce sperando che la gelataia capisca dal labiale. Però quando c’è gente in gelateria sono costretta ad alzare il tono di voce per farmi capire, e non mi importa più se le persone potrebbero ridere, perché in quel momento per me l’unica cosa che conta è Pino Pinguino.
Mi piacciono Gabriele D’annunzio, Andy Wharol, e tutti quelli che ora inorridirebbero a sentir parlare del “personal branding” online. Eh sì, erano davvero fighi. E dove lo mettiamo Petrarca con il mio verso preferito? Che recita: “e il conoscer chiaramente, che quanto piace al mondo è breve sogno”. Mi piace “Holding on to you” di Terence Trent d’Arby, mi piacciono Cat Stevens, gli Ac dc, i Pink Floyd. Mi piace Mick Jagger, lui mi fa proprio impazzire, mi piace il rock. E mi piace che molte persone possano pensare: “a vederti non si direbbe”. Mi piace proprio tanto rompere il cliché del tacco dodici uguale: essere scontata. Trovo che rompere i cliché sia un’uscita di sicurezza, quindi per forza mi piace. La campagna la amo, vengo da lì, anche se mi sono spaccata un polso cadendo da una botola di fieno. E mi piacciono i miei amici del mio paese di origine. Mi piace pensare a loro, alle risate, alla naturalezza con la quale ci si accettava tutti, senza il motto del “bisogna apprezzare la diversità”. Infatti, tra noi c’era chi studiava, chi no, chi si faceva le canne, chi no, chi non riusciva a corteggiare una ragazzina e chi invece le corteggiava tutte. E ci divertivamo, insieme, per ciò che si era, senza sovrastrutture. Tra questi mi piace tanto pensare al mio migliore amico, e che amico, il mio più autentico compagno di ironia. Pensare a tutti loro e a lui, ovunque sia, mi fa sentire leggera. Mi fa sentire che posso andare via dalla pesantezza quando voglio, basta aprire una porta della mente. Un’altra uscita di sicurezza insomma. E poi mi piace dire quello che non mi piace. Proprio così. Mi piace dire no se non ho voglia di dire sì, e non sempre è facile farlo. Quindi, in definitiva, mi piace riuscirci a dire di no, quando non voglio dire sì. La curiosità, mi piace la curiosità, sfamarla, assecondarla, oddio se mi piace. Si, soddisfare la mia curiosità mi permette di spostarmi da dove sono. Perché quando non mi piace dove sono, mi permette di andarmene con il pensiero. E’ come se bastasse aprire una porta, anche se in sala c’è buio, e poter uscire da li. Un’uscita di sicurezza.
Ecco. Mi piace l’uscita di sicurezza.
MI PIACE
di Davide Bregola
Quasi come per una sorta di reazione a ciò che non mi andava a genio, sono sempre stato uno che ha cercato possibili alternative alle possibilità offerte all’ingrosso e a portata di mano. È così che la spinta verso la ricerca è nata, anche inconsapevolmente da giovane e adolescente, e poi via via in modo sempre più consapevole, per cercare problemi e soluzioni lontani dall’ovvietà. Uno dei miei pallini è sempre stata la ricerca della semplicità perché nella mia testa la semplicità porta alla purezza. Nel mio tentativo di scrivere, la purezza ha sempre avuto un’importanza rilevante. Purezza della parola. Purezza dell’immaginazione. È per questo che ho sempre provato a scrivere avendo in mente un termine di Giovanni della Croce: la nescenza del male. Fare finta di non conoscere il male per provare a scrivere con parole pure. Mettersi nella condizione ideale, mettersi nello stato d’animo di “fare finta” di non conoscere il male mi fa scrivere in un certo modo e, paradossalmente, posso vedere il male, descriverlo, senza riconoscerlo. Provare a scrivere pensando all’aria: quando c’è molto pulviscolo i raggi della luce, rifratti, producono una luminosità generale molto più sparsa, senza ombre, e hai più luce ma vedi molto meno lontano. Nel linguaggio, rispetto alle parole, è lo stesso: dove le parole fanno più luce vedi meno lontano. Per questo aspiro da sempre alla semplicità e invoco la semplificazione.
Ciò non significa banalizzare o rendere gli spazi più luminosi, ma significa lavorare sulla complessità dandogli un senso. La semplicità come ambizione, come tempio per stare dentro e osservare. Da ragazzo usavo come manuale di scrittura un libro rosso che avevo comperato in una chiesa nella quale c’era uno spazio libri di tematiche spirituali. Si entrava, si sceglieva un libro, si lasciavano i soldi in una cesta. Era L’imitazione di Cristo e più che seguirne il contenuto cercavo le parole meno luminose e la semplicità. Cercavo di evitare la rifrazione. Era il mio manuale di scrittura. Lo ricopiavo, lo imitavo. Lo trovavo puro. Mi vergognavo a parlarne, perché era un mio segreto personale. Ma lo usavo. Adesso ho capito che il silenzio è una bella forma di semplicità e la poesia, quando può essere chiamata tale, è una delle discipline che più si avvicinano al silenzio e all’aria. Ho qui vicino a me Le liriche di Holderlin. Lo apro a caso e leggo: “Il secco rischioso guarisce, né il taglio della luce brucia la fioritura, ancora una sala è aperta e il giardino è sanato”. Mi fermo qui ma la lettura di queste parole fa scaturire in me un senso di semplicità, ma la luce è lontana. Mi sembra di vedere più lontano, di afferrare per un istante la purezza. Posso prendere alcune di queste parole, come per esempio “secco”, “brucia”, “sanato” e sentire che nutrono il mio spazio. Lo semplificano dandogli complessità. Il linguaggio si allontana dalle parole tossiche della contemporaneità e quest’aria purifica il mio respiro.
POESIA DELLA SPESA
di Jacopo Masini
Scrivi sul foglietto,
un post-it giallo:
Spaghetti
Passata
Se facciamo il bordo?
Tempestina
Farfalline
Poi le mele
Banane
Cracker integrali
Stracchino
Prosciutto crudo, affettato al banco
Caffé, moka e capsule
Radicchi
Finocchi? Carote?
No melanzane
Cavolo cappuccio
Biscotti integrali
Latte parzialmente scremato
Noci
Mandorle
Fette biscottate
Merluzzo
Minestrone surgelato
Due birre (no scure)
Malvasia
Esci
Guarda il sole
Se non c’è il sole, non comprarlo
Posteggia davanti al supermercato
Non prendere il carrello
Entra
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un post-it giallo:
Spaghetti
Passata
Se facciamo il bordo?
Tempestina
Farfalline
Poi le mele
Le mele no, non mi va
Prendi le pere
Fermati, guardati intorno.
Leggi
un post-it giallo:
Banane
Cracker integrali
Stracchino
Fermati, è febbraio,
siamo nel 2023.
Cosa stavi comprando un anno fa?
Ti ricordi?
Banane, radicchi,
no melanzane.
Ah, patate di Bologna!
Per gli gnocchi.
Guardati intorno,
cammina.
Siamo nel 2023.
Sul libro #altrepagine -le letture di chi scrive- di Barilli:
Davide Bregola:
Quale libro sta leggendo in questo momento?
Uno scrittore francese di nome Thierry Metz. Mi ha colpito un titolo: “Diario di un manovale”, perché racconta di sé. Era un ex-rugbysta, poeta, e aveva deciso di fare il muratore, anzi il manovale, per essere a contatto con la calce, la terra, l’acqua. Ma faceva il manovale anche per poter sopravvivere. Mi sa che tirar su muri e abbattere case sia un bel modo per capire come vivere, come scrivere. Metz mi ha conquistato raccontando di tramezzi, vani, solai e mani a raggiera coi calli.
C’è un libro che le ha cambiato la vita o ha cambiato il suo modo di pensare?
Tanti anni fa mi feci regalare il Dizionario etimologico Cortelazzo-Zolli di Zanichelli perché volevo sapere l’origine delle parole. Questo fece aprire un mondo magico, tra radici dal sanscrito, prefissi e suffissi dalle altre lingue antiche… Direi che è proprio questo.
Il libro che avrebbe voluto scrivere?
Tanti libri che ho letto mi hanno fatto esclamare: “Non ce l’avrei mai fatta a scrivere una storia del genere”. “Il conte di Montecristo” di Dumas l’avrei voluto scrivere io. Non tanto nello stile –sappiamo tutti che la sua prosa non è sempre di prim’ordine- quanto nella capacità di scrivere trame e personaggi potenti, indimenticabili. Non ce la faccio proprio a immaginare plot di quel genere. Un altro libro che avrei voluto scrivere è la prima stesura di “Le avventure di Pinocchio”, quella in cui Pinocchio non diventa un bravo bambino ma muore impiccato: «stirò le gambe e, dato un gran scrollone, rimase lì come intirizzito.» Amo tutti i significati esoterici di questo libro e avrei voluto scriverlo io.
Il libro che ha più influenzato la sua scrittura?
Alla resa dei conti penso che i libri che più hanno influenzato la mia scrittura siano “Parliamo tanto di me” di Zavattini, perché è una storia scritta come Dio comanda ed è nelle mie corde linguistiche. Un altro libro utile è stato “Le avventure di Guizzardi” di Gianni Celati perché mi ha liberato dalla scrittura scolastica. Infine “La passeggiata” di Walser mi ha insegnato la possibilità di essere leggeri nella profondità dello sguardo.
Il libro che reputa sottovalutato?
Ce ne sono tanti di libri sottovalutati. In genere penso che Giorgio Saviane sia uno scrittore sottovalutato, dimenticato. “Eutanasia di un amore” è ancora un bellissimo libro da leggere.
L’ultimo libro che l'ha fatta piangere?
E’ stato tanto tempo fa, in un periodo della mia vita emotivamente particolare, e ogni volta che iniziavo a leggere Roland Barthes e il suo “Frammenti di un discorso amoroso” versavo lacrime.
L’ultimo libro che l'ha fatta ridere?
Mi diverte tutto quel che scrive Rosa Matteucci, ma il suo libro “Lourdes” è drammaticamente comico. Scritto in modo sublime.
Il libro che non è riuscito a finire?
Quanti ce ne sono! Direi con soddisfazione di non essere riuscito a leggere “La scopa del sistema” di D.F. Wallace.
Il libro che ammette di non avere letto?
Purtroppo “La morte di Virgilio” di Hermann Broch è uno dei tanti libri che non sono riuscito a leggere anche se so che l’autore austriaco è importante. Non ce l’ho fatta.
Cosa leggeva da bambino?
Bambino piccolo piccolo, quindi 7 o 8 anni leggevo le favole di Oscar Wilde, tipo “Il principe felice”, poi storie strane della steppa siberiana. Erano tutti libri illustrati che regalavano a mio padre per natale. Regali aziendali per i figli dei dipendenti Enel.
E' un lettore capace di leggere più libri contemporaneamente?
Si, leggo anche cinque libri contemporaneamente. Devo essere pieno di suggestioni e storie per riuscire a trovare qualcosa di interessante, fare paragoni, riempirmi la testa di scrittura, punti di vista, stile.
Legge le novità proposte dal mercato o preferisce rileggere?
Sono molto interessato alle novità. Un po’ acquisto libri, più che altro saggistica, antropologia. Molti libri nuovi mi arrivano in PDF dalle case editrici e li leggo spesso in modalità veloce. Alcune novità italiane le leggo con molta attenzione perché sono molto interessato agli scrittori italiani viventi.
Come suddivide i libri? Domanda con due risposte: quelli che tieni sul comodino e quelli scaffalati in libreria.
I libri che impilo sul tavolo alla mia sinistra sono libri utili in quel momento. E’ una accatastata scelta di libri appena acquistati o comprati chissà quando. Negli scaffali seguo solo un principio estetico, per cui non c’è una logica tematica.
Ci sono libri che tiene sempre a portata di mano?
Per anni ho tenuto sempre con me “L’imitazione di Cristo” e lo utilizzavo sia per trovare un mood linguistico, sia perché mi ispirava.
Oggi, nell’era digitale, si è arreso all’idea che in una lastra di computer ci può stare una biblioteca?
Nel tablet ho una ventina di libri scaricati. Lo faccio quando mi servono subito e non posso aspettare i tempi della libreria. Per il resto non mi arrenderò mai!
Qualcuno ha detto che la libreria per un (critico, un poeta, un giornalista, uno studioso, un narratore) è come la scatola degli attrezzi per lo stagnaro, si rivede in questa immagine?
Certo, mi viene in mente un autore mentre scrivo e devo andare a rileggere qualcosa. Mi viene in mente un concetto, e devo andarlo a rivedere su un manuale. Per me i libri degli altri sono macchine narrative.
Quale dei suoi libri pensa o vorrebbe rimanesse fra cento anni?
Ho fatto diversi libri, in poche copie, scaturiti da incontri fatti in RSA e centri psicosociali. Mi piacerebbe rimanesse quell’attitudine lì: usare la scrittura come azione collettiva.
I VINCITORI
“— Oh no — dissi — non è certo colpa tua. Ma dev'essere una grande soddisfazione per voi sentirvi vincitori in un paese simile — dissi — senza questi spettacoli come fareste a sentirvi vincitori? Dimmi la verità, Jimmy: non vi sentireste vincitori, senza questi spettacoli.
— Napoli è sempre stata così — disse Jimmy.
— No, non è mai stata così — dissi — queste cose, Napoli, non si son mai viste. Se queste cose non vi piacessero, se questi spettacoli non vi divertissero, queste cose non accadrebbero a Napoli — dissi — non si vedrebbero simili spettacoli a Napoli.
— Non l’abbiamo fatta noi, Napoli — disse Jimmy, l'abbiamo trovata già bell'e fatta.
— Non l'avete fatta voi — dissi — ma non è mai stata così, Napoli. Se l'America. avesse perso la guerra, pensa quante vergini. americane, a New York o a Chicago, aprirebbero le. ‘gambe per un ‘dollaro. Se aveste perso la guerra, ci sarebbe una vergine americana su quel letto, al posto di quella povera ragazza napoletana.
— Non dire stupidaggini — disse Jimmy — anche se avessimo perso la Guerra non si vedrebbero di queste cose, in America.
— Se ne'vedrebbero di US in America, se aveste perso la guerra — dissi — per sentirsi eroi, tutti i vincitori hanno bisogno di veder queste cose. Hanno bisogno di ficcare il dito dentro una povera ragazza vinta”.
(da La Pelle di Curzio Malaparte)
GALAVERNA
Scrittori e storie di nebbia e pianura
Per finire, un invito.
Siamo lieti di annunciare che domenica 19 febbraio andrà in scena al Museo Cinese Parma un micro-festival che io e Davide Bregola abbiamo proposto a Chiara Allegri, che ha detto sì, facciamolo, e con la quale alla fine lo abbiamo organizzato.
Si chiama GALAVERNA - Scrittori e storie di nebbia e pianura, è un po' il seguito di CALURA (che noi di Mollette avevamo organizzato lo scorso luglio a Mantova) e vedrà tra i protagonisti Davide, Jacopo, Chiara Allegri, Marco Dotti, Ray Banhoff, Marco Truzzi e Igor Ebuli Poletti, tutti impegnati a parlare della cose che abbiamo scritto, dei nostri libri,ma soprattutto di freddo, nebbia e storie e non lo sappiamo neanche noi.
Venite, se vi va.
LEGGETE BENGALA!
ISCRIVETEVI A BENGALA!
Ray Banhoff scrive cose che leggerete solo da lui, nella sua esplosiva newsletter che fa luce nella notte dei giorni tutti uguali. Editoriali umorali, libri, fotografie, scazzi, slanci, musica: tutta roba buona.
Abbiamo deciso che Mollette e Bengala sono cugine, per affinità, per simpatia, perché sì.
Quindi noi, cioè Davide e Jacopo, vi invitiamo a cliccare QUI e a seguire le scintille di Bengala.