Su questo numero di Mollette ci sono disegni, dipinti, illustrazioni di scrittori che pitturano. Qui in copertina, come introduzione, una china di Marcello Simoni.
STORIE ZITTE
di Simone Angelini
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È poi soltanto una bevanda. Eppure. Te lo vedi lì, con la scritta Chinotto, la lattina marrone, ma dietro ci sta un universo semantico che a raccontarlo narra di bar scalcinati, di paesi, di sbrisolona fatta in casa la domenica pomeriggio da mia mamma, di Italia dal retrogusto dolciastro, di scooter spiombati, di galaverna e canicola, di silo nella campagna più radicale. Narra di viaggetti sull’Abetone-Brennero, di cartelli stradali che indicano Mirandola km 18, Carpi km 37, Correggio Km 54, di terra e parabole satellitari, pilastroni immondi col 5 G nei cimiteri. Il Chinotto se lo chiedi al pub è facile far ridere la gente. Io mi sono messo a pensare che siano solo i più rinomati locali ad avere quello stile unico e inconfondibile che gli permette di possedere tale eroica bevanda. Dico: a San Giacomo delle Segnate ce l’hanno, a Malcantone e alle Grazie pure, alla stazione di Monselice anche, così come a Quatrelle nell’unico bar sulla statale per Ferrara…e magari a Montecarlo no. A Montecarlo non ce l’hanno. Pensare che a Sustinente, sulla stessa statale per Mantova, te lo versano in quei bicchieri lunghi e lisci che non sai se siano opachi per la sporcizia o per il calcare dell’acqua. A Milano la settimana scorsa al Tunnel –zona stazione centrale- non c’era, e mi sono dovuto accontentare di un’aranciata amara. Vuoi mettere? Chinotto Vs. Aranciata amara 6-0 6-0.
Il Chinotto va servito freddo di frigo, qualsiasi altra temperatura snatura il piacere di berlo. Adesso tanti piccoli e sparsi flash per raccontare come nasce questa mia passione per il Chinotto: una volta mi ha permesso di conquistare una ragazza. Io e Sara eravamo al parco Marinella una sera di luglio. Dialogavamo sopra ai massimi sistemi del mondo quando a un certo punto le ho chiesto di andare a Castelmassa a bere qualcosa. Siamo partiti su in due con il suo vespino rosso. Quando siamo stati al bar da Pio ho chiesto un Chinotto. Pio l’aveva. Era un uomo di cui ci si poteva fidare. Anche Sara ne ha preso uno e mi ha giurato che prima d’allora non l’aveva mai assaggiato. Naturalmente le è piaciuto anzi, ripensando a tutto il gioco di seduzione a cui l’ho sottoposta, il clou è avvenuto proprio perché ho ordinato una bevanda così prestigiosa. Un altro ricordo che ho del Chinotto risale al 1979, anno in cui gli Skiantos cantavano “Mi piaccion le sbarbine”. Io avevo 7 anni esatti e ricordo che per radio facevano sentire Kinotto: Oggi è stata gran calura/nella mia gola c’era arsura/mi sembrava di impazzire/c’era un’afa da morire./ Nella notte l’ho sognato, nella gola l’ho gustato, ma costava un puttanaio quel Chinotto dal lattaio./ Un Chinotto ogni due ore/è un gran viaggio da signore/ un Chinotto ogni due ore fa passare il malumore. Eccetera.
Appena ho avuto cognizione di come funzionava il mercato dell’acquisto ho comperato la cassetta Kinotto degli Skiantos. Era un fine agosto capace di offrire epistemologiche illuminazioni, ero andato con i miei alla fiera di Revere nella giornata dei fuochi d’artificio e su una bancarella di dischi, cercando, ho visto Kinotto e me la sono fatta prendere dal babbo. Mi sono immaginato d’andare da Nino Nasi alla Libreria del Teatro a Reggio e chiedergli un buon libro da leggere nell’immediato. Ma Nasi non c’è più. Volato in cielo. La notte ho sognato -complici le impressioni della giornata– di entrare alla libreria e chiedere a Nasi dove si trovasse un buon bar che vende anche la rinomata bevanda. Mi ha guardato come per dire: Povero ingenuo, e poi ha fatto: E’ qui, vieni mo’ qua! E da sotto il banco della cassa ha tirato fuori un’annata speciale della portentosa bevanda dissetante. Perbacco! Ma era solo un sogno. La mia sensazione, in primavera-estate, con il sole bello caldo e l’ombra delle case o delle mura e magari un poster di Gligorov sotto braccio, è quella di percepire la bellezza degli anni ‘20 in una sfilza di bottiglie e lattine messe sugli scaffali di un “Generi alimentari” delle zone nostre. Mi parrebbe –se mi è permesso- un buon compromesso tra folk e cultura apocalittica.
E quella volta che, dopo aver letto l’introduzione di Garboli ai Diari di Delfini e la nota dell’autore emiliano a Il ricordo della Basca mi sono deciso e sono partito per Disvetro, frazione di Cavezzo. Disvetro, paese natale di Delfini. Ero alla ricerca di un segno, un’immagine lasciati intatti dall’ultima volta in cui lo scrittore magari aveva passato rilassanti fine settimana lì e faceva la spola tra profonda pianura e Viareggio alla continua ricerca di tranquillità. Ho dovuto constatare, deluso, che non c’era una lapide, una nota, un cenno. Così mi son dovuto consolare passando il resto della giornata seduto all’osteria del paese tra vecchi colla canotta azzurra a costine e giovani magrebini spettinati davanti allo schermo di una slot con l’unica certezza di un bicchiere di Chinotto al tavolino. Stavolta con ghiaccio e una fettina di lemon. Se mi chiedono perché proprio il Chinotto, faccio anche presto a rispondere. Il Chinotto è molto bello, sale dritto nel cervello e non lo trovi nei locali di tendenza ma solo dove il tempo fluisce alla rinfusa. Perché il Chinotto è la coca cola italiana e ha diversi formati: lattina, bottiglia da 20 cc., bottiglia in plastica. Perché ha le bollicine e un retrogusto inimitabile. Perché non ne hanno mai curato l’immagine più di tanto. Perché il suo contenuto è misterioso. Perché ha un colore inconfondibile. Perché ci sono in giro parecchie imitazioni. Perché è veramente fuori moda. Perché nei supermercati ce n’è sempre pieni gli scaffali. Perché con la pizza è la morte sua. Perché se ne bevi tanto ti apre la mente ma se ne bevi troppo ti gonfia la pancia. Perché è la bevanda del futuro. Perché piace al mio amico Billo che la ritiene la bevanda più energetica che ci possa essere. Altroché gli Energy drink! Perché chi la prova poi rimane fedele. Perché tutte le teorie di Stirner, quando c’è il Chinotto, vanno a farsi friggere. Perché disseta. Perché è un dejà vù. Perché è sempre una novità. Perché in pochi ne hanno fatto l’apologia. Perché il Made in Italy è grande. Perché dovrebbero farlo scaricare con la denuncia dei redditi. Perché rivitalizza il settore, deprofessionalizzandolo, dandogli una botta di rude esotismo. Perché i giornali ne parlano poco ma è un liquido proletario e anticapitalista. Qualsiasi cosa possa significare questo termine negli anni ’20 di questo secolo. E pace.
SPARIZIONI
di Jacopo Masini
Mi sono svegliato e nel dormiveglia mi sono coccolato in testa e in bocca, sussurrandola più volte, un’espressione di Carmelo Bene, che ha dato il titolo a un suo libro, una specie di autobiografia: Sono apparso alla Madonna.
Non so da dove sia sbucato quel titolo di Carmelo Bene, quel rovesciamento prospettico, quel ribaltamento che mi ha sempre affascinato, fin dalla prima volta in cui mi ci sono imbattuto, ma quando è apparso nel dormiveglia me lo sono appunto coccolato, come un filo di spago da prendere e seguire, una traccia sul sentiero dei pensieri e mi è venuto in mente, allora, come tutti noi, specialmente qui in Italia, siamo cresciuti dentro un pantheon di santi e ricorrenze che da secoli hanno preso il posto degli dèi pagani e delle loro ricorrenze, di modo che le sante e i santi protettori della casa, dei mestieri, delle città hanno preso il posto degli dèi che facevano la stessa cosa, in una perfetta operazione di sostituzione culturale che ci ha consegnato anche apparizioni, sanguinamenti, statue che lacrimano, stimmate e molte altre cose.
Tutto quel pantheon e quel circo di devoti e beati, santi e sante, figure marginali e discutibili e altre abnormi che quasi da sole occupano la scena come san Francesco d’Assisi, ad esempio, tutto quel carrozzone di figure che ha imbevuto il nostro immaginario fin dal momento della nostra nascita, attraverso capolavori immortali della storia dell’arte, orribili opuscoli da catechismo pomeridiano, statuette di plastica piene di acqua benedetta, immense e sensazionali cattedrali, rosari fosforescenti da sgranare per divertimento sotto le lenzuola d’estate, tutto quel pantheon, dicevo, ruota attorno alle alla Trinità, in particolare al Figlio, cioè a Cristo, e a sua madre, cioè la Madonna, innescando da subito una serie di problemi teologici a proposito dell’unicità di Dio e del monoteismo, dal momento che, nei fatti, il cattolicesimo è un proliferare di credenze e divinità, proprio a partire dalla Madonna, cioè da Maria, una giovane, giovanissima donna che avrebbe concepito il figlio di Dio, cioè Cristo, pur essendo vergine.
Ecco, mi è venuto da pensare, è proprio la Madonna a cui apparve almeno ipoteticamente Carmelo Bene che presidia il nostro immaginario con la sua presenza costante, accanto al figlio dolente, combattivo, che sale verso Gerusalemme andando incontro alla propria morte e alla propria Pasqua, mente il padre, cioè Dio in persona, se ne sta nascosto da qualche parte, in rispettoso silenzio, a osservare. Allora ho avuto una piccola illuminazione e mi è venuto da pensare a questo fatto della madre e del figlio, a una poesia di Zavattini intitolata An lamp, cioè Un lampo, che nel secondo verso dice: sarei Cristo? Cioè, e se fossi Cristo? Che è un dubbio legittimo, essendo Cristo un uomo come noi e in fondo non sappiamo a che età di preciso Gesù si sia reso conto di essere Cristo, cioè il Salvatore, cioè il figlio di Dio, quindi non è impossibile che qualcuno al posto suo se ne possa accorgere in tarda età. Ma, al di là di questo e di faccende nelle quali non ho le competenze per addentrarmi, l’idea che la madre, cioè la Madonna, sia sempre presente nella vita del figlio, fin sotto i piedi della croce, e che il protagonista del racconto sia il figlio, cioè Gesù, mentre il padre è sempre altrove, impegnato a fare altro, con la scusa che lascia libero il figlio – e i figli – di fare quello che vuole, è una bella fotografia della società italiana. Non so se anche di quella di altri paesi, forse di quelli cristiani sì, ma del nostro di sicuro, laddove la madre è sempre lì che si fa il mazzo, mentre il padre e i padri sono tradizionalmente impegnati a fare altro, a lavorare, a fare cose importanti, spesso al bar o a giocare a calcetto, ma sempre piuttosto assenti dalla vita dei figli, anche quando si appropinquano a qualche croce.
Se la Madonna, tradizionalmente, appare e fa lacrimare o piangere le statue, oppure si mostra dietro un cespuglio a pastorelle e pastorelli, o protegge i papi dagli attentati, così come accade anche al figlio, che dona le proprie stimmate ai santi o appare all’improvviso al centro di un tessuto o dentro luoghi geografici come i monti, il padre non appare mai. Niente più roveto ardente, niente di tutto questo: il padre è impegnato altrove, come è accaduto a moltissime e moltissimi di noi, me compreso, nel corso degli anni.
Il prototipo del padre italiano è Dio. I padri italiani hanno preso lui come modello, come prototipo: stanno sempre facendo qualcosa di meglio.
Quindi, mi è venuto da pensare, non è vero che Dio è morto, come scrisse Nietzsche: è solo al bar che gioca a carte.
PAVESE VS. PAVESE
di Enrico Macioci
La bella estate, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole, La casa in collina, La luna e i falò. Ogni volta che leggo un autore celebre, mi sforzo per quanto possibile di essere equanime: né accecato, e nemmeno infastidito dalla fama. Ebbene io non saprei dire se la fama di Pavese è meritata, se la sua canonizzazione è giustificata, e non saprei neanche azzardare il livello della sua effettiva importanza nella storia della nostra cultura, e nella nostra cultura attuale. Se lo leggessi in modalità tabula rasa, senz’altro penserei che si tratta di un poeta prestato alla narrativa, che trova la sua dimensione ideale nel racconto lungo o romanzo breve, che è assai bravo a creare singole scene, a scolpire singole frasi, a spalancare improvvise accensioni liriche, e che è assai meno bravo a narrare – e che il narrare in fondo non gl’importi. La sua è la dimensione del mito – il mito delle colline, della gioventù disillusa, della felicità irraggiungibile, della fuga impossibile dalla morte. Ma qui, dove meglio riesce, fortissimo si percepisce l’influsso – la lezione, quasi il dettato – di Fitzgerald, specie del Fitzgerald del Grande Gatsby; e un poco stona, perché nell’immaginario comune (o almeno nel mio) il fascino di Long Island è diverso da quello delle Langhe. Il suo diarismo è una continua rievocazione della prima giovinezza, quando ancora le donne e il sesso non significavano solo morte. Mentre però un narratore traspone se stesso nella storia e nel carattere dei personaggi, rendendo universale una psicoanalisi privata, Pavese sembra scrivere davvero solo per sé – di nuovo, qui, salta fuori la sua anima essenzialmente poetica. Ogni personaggio è un suo ventriloquo, e ogni vicenda non dura che mezza pagina, il tempo di spiegarla senza viverla. Perfino l’esperienza della guerra viene assorbita dall’autobiografismo, non si capisce se per pudore o impotenza. E però, io non lo leggo in modalità tabula rasa, bensì sapendo che lui è Cesare Pavese. Vent’anni fa non mi piacque; adesso mi è piaciuto di più, ho apprezzato di più la sua abilità stilistica, la sua economia, la potenza di certe immagini (penso alla descrizione dei morti di guerra alla fine de La casa in collina); ma continuo a nutrire perplessità riguardo al posto da lui occupato nella nostra letteratura. Questa perplessità dice più di me che di lui, cionondimeno mi sentirei di scommettere che il trascorrere del tempo gli nuocerà ancor più di quanto gli abbia già nuociuto, che è parecchio. Durare è difficile anche per chi ha molto talento.
- Il nostro liceo l’hanno fatto anche Segni, che è un ex presidente, e la Canalis
- Chi è la Canalis?
- Boh, mi sembra una ministra o qualcosa
- Sì, la Canalis, la ministra
- Ma no, è una modella! È stata anche bocciata, in terza mi pare
- Ha un’osteopatia grave precoce
- All’inizio il militare è brutto, poi ti restano dei bei ricordi
- Il problema dell’Italia è che…
- Virginia, al prossimo capriccio andiamo a casa!
- Quel coniglio ha un cazzo di carattere! Rosicchia tutto, fa i dispetti
Tatuaggio sul petto: MEA CULPA
- Noi quello che abbiamo ce lo siamo guadagnato, ora invece hanno tutto e
non sono mai contenti
- Giovanni, guarda che andiamo a casa!
- A te piacciono i 2006? O solo i 2004?
- Matteo, non puoi usare il dentifricio che usi per te anche per la gatta! Eh! Servono prodotti apposta!
- È proprio così, non si direbbe, ma il nostro corpo ha bisogno della vitamina D
- Virginia, se continui a lanciare i sassi andiamo a casa!
- Non sanno fare il turismo, se vengono qui i trentini o i romagnoli, vedi come
cambiano le cose…
- Sì Cristian, sì Cristian, sì Cristian!
- Cosa vuole?
- Cosa? È un continuo! E dopo ti butti con me, e dopo fai quello con me, e poi fai questo con me, e poi giochiamo… no guarda, un’insistenza che non hai idea… pensa che finisca il mondo tra un quarto d’ora… tranquillo Cristian, facciamo tutto
- Come ci godo che vanno tutti a casa. E senza pensione! I gà de na’ a laurà…
- È che non c’è alternativa…
- Certo che c’è! Paragone e Italexit
- Hai sentito del tubo rotto in via Kennedy?
- No
- Perde diecimila litri… e noi stiamo qui a chiudere l’acqua quando ci laviamo denti…
- Appena torno, prenoto… ho avuto solo un po’ di febbre con la seconda
- Io niente
- Una volta con mio papà abbiamo fatto mille palleggi…
- Quando sei in acqua devi stare vicino a me! Alcuni sono morti anche a riva!
- Come a riva?
- Certo! Basta poca acqua… Magari avevano mangiato da poco e sono stati male…
- Ma io non ho mangiato da poco!
- Non fa niente! Stai qua!
- Se non metti la crema andiamo a casa! Oggi prenoto l’aereo e domani partiamo!
- Stamattina la piscina era color merda
- Quando glielo dico mi dicono fatti i cazzi tuoi, come i ragazzini che lasciano l’immondizia in giro, ma io glielo dico lo stesso… a Torino faccio parte della tutela ambientale
- Non ha praticamente sintomi…
- Cosa vuoi da me? Hai capito come si fa il castello, fattelo!
- Al lago non ho mai fatto il bagno, puzzava troppo perché l’acqua è bassissima. Qui invece l’acqua è sempre bella.
- Dai, dimmi i capoluoghi del Molise
- Aò, sembra de sta’ a Sabbaudia
- Roy, seduto! Seduto! Se-du-to! Seduto! Seduto! Seduto! Allora? Seduto! Seeeduto! Se ti siedi ti lancio la pallina! Seduto! Se-du-to! Ecco… bravo! No! No! Seduto! Seduto! Seeeduto!
- Ma no, il ministro dell’Agricoltura non era male… come si chiama…? Coso là…
- Io l’acqua così calda non l’avevo mai sentita
- Edoardo! Guarda che se vai avanti ancora andiamo a casa!
- Tu devi capire che ci sono giocatori da serie A e giocatori non da serie A… e mi spiace ma non è da serie A, da come si muove, da come va incontro alla palla, lo vedi, eh…
- Il fatto è che i moderati…
- Le mani me le faceva a 18, ma adesso ha aumentato a 22
- Eeeh, anche la mia
- Dice che i prezzi dei prodotti si sono tutti triplicati… prima di partire mi sono fatta fare anche i piedi
- Pure io
- A 35…
- Fino a che c’era mia mamma me li facevo da soli, perché li facevo anche a lei
- Pomodoro, mozzarella, zucchine, melanzane e salsiccia… la melanzana solo saltata un po’ così
- I Cinque Stelle mi hanno deluso… Giorgia all’inizio non mi convinceva, ma devo dire che l’ho rivalutata… mi sa che ’sto giro…
- Sulla fascia non è male, è che non difende
- Edoardo, stai urlando troppo! Questo capriccio non è accettabile! Adesso andiamo a casa! (e poi ci va davvero)
Quello che cerchi è dentro di te (e lo trovi in meno di 60 secondi)
di Elisa Rovesta
Allora, magari sei smarrito, confuso o confusa, pensi che la tua vita sia bella ma nonostante questo senti che non ti piace. Sai che c’è chi sta peggio, e quindi ti sforzi di pensare che vada tutto bene, che devi essere grato di ciò che hai ma tu cerchi qualcosa che non trovi, e nemmeno sai cosa sia. Insomma, sei incompleto o ti senti tale, e provi a cercare rifugio in tante teorie o filosofie. Studi, ad esempio, la legge di attrazione e guardi il dvd di “The Secret”. Fai esattamente quello che ti dicono e segui alla lettera il principio fondamentale espresso nel dvd: “comportati come se quello che desideri fosse già accaduto”, l’Universo così ti risponderà e ti darà ciò che vuoi”.
Così, se ad esempio sei una donna, fingi di aver ricevuto i fiori da quell’uomo che ti piace tanto, e ti comporti proprio come se li avessi ricevuti. Addirittura, poni un vaso al centro del tavolo nella sala da pranzo, lo riempi di acqua e odori i fiori che però non ci sono. Se sei un uomo invece, potresti immaginare di aver acquistato una Lamborghini, così un mattino mentre ti dirigi al lavoro convinto di avere un cambio automatico, arrivi in ufficio in terza. Devi però continuare a credere di avere una super car e l’Universo ti ripagherà il motore ormai fuso, della tua utilitaria. Se non funziona la legge di attrazione si può ricorrere alla terapia breve: dieci incontri con uno psicologo online e tutto è risolto. Ma proprio dieci e dopo starai meglio, e se si scorressero le pagine social di alcuni professionisti verrebbe da aspettarsi la dicitura: “soddisfatti o rimborsati”. Se non funziona nemmeno questo, perché dopo dieci incontri, forse hai risolto appena appena i problemi del tuo primo anno di vita, si può valutare la meditazione proposta da qualche applicazione apposita o, meglio ancora, in una classroom ovviamente online. In pratica visualizzi il tuo respiro, insieme ad altre persone collegate attraverso una piattaforma digitale, e di sottofondo senti il rumore di un ruscello o comunque di acqua che scorre. Se anche stai pensando a tutte le cose che devi fare durante il giorno, devi trovare una posizione comoda, chiudere gli occhi e concentrarti appunto sul respiro. Con dieci minuti al giorno, nel giro di una settimana starai meglio, te lo dice Instagram. Se sei così “grave” che nemmeno la meditazione online funziona, puoi andare in un parco e abbracciare gli alberi, i faggi vanno per la maggiore, e lo puoi fare con altre persone, che come te, hanno visto la pubblicità sul web. Si quella pubblicità che recitava “con soli 5 abbracci di faggio, starai meglio”. Ma niente, ancora non stai bene, non ti senti completo nonostante il faggio e così rimugini. Ti accorgi dunque di rimuginare e in preda al pentimento più severo, perché non va più di moda prendersi del tempo per elaborare o capire sé stessi, corri ai ripari e chiami subito quel numero che ti è apparso come pop up mentre guardavi le notizie Ansa sul tuo telefono cellulare. Chiami quel numero che corrisponde al contatto di un professionista in campo dentale che, detto da lui attraverso la sua pagina social, in soli 60 minuti ti ridarà il sorriso. Lo farà applicandoti delle faccette e questa volta decidi di anteporre un’azione concreta, buttandola sull’estetica, a una filosofia o una corrente di pensiero. Ti rechi da quel dentista, tutto contento perché in un’ora tu sorriderai, nonostante il tuo senso in incompletezza che ti opprime, tu sorriderai. E questa rinascita avverrà in un’ora. Anzi, in soli 60 minuti. Il dentista ti mostra il preventivo e tu pensi che non c’è un prezzo per la felicità, così anche se poi dovrai affrontare alcune rinunce ti fai fare questo sorriso salvavita. Però, nemmeno i denti bianchi splendenti e allineati, che sembra una dentatura fatta con il Pongo, ti danno quella serenità che ti manca. Sconsolato ti chiedi “perché so male, ho tutto ciò che mi serve e c’è chi sta peggio, perché io sto male?” Allora mentre sei sulla strada del ritorno ti fermi un bar, entri e ordini un bicchiere d’acqua (non puoi bere altro sennò ti si macchiano i denti) e mentre sei li noti un signore seduto al bancone. E’ un signore di una certa età, avrà circa vent’anni più di te e iniziate a parlare. Lui, come se fosse il Saloon di un film Western, dice al barista: “dammene un altro”. Non si sa cosa sia un “altro” ma il barista fa scivolare sul bancone un bicchiere con dentro probabilmente del Gin e il signore lo afferra al volo con la mano. Questo uomo ti chiede “cosa non va ragazzo?” tu rispondi che non lo sai, hai tutto ma non sei felice. Gli racconti che si, la tua infanzia è stata segnata dal rapporto turbolento dei tuoi genitori, avevi pochi amici a causa dei continui traslochi che facevi con la tua famiglia, che la tua prima fidanzata ti ha tradito con il tuo migliore amico, che non sei riuscito a finire gli studi perché non credevi in te stesso e che ora il tuo lavoro non ti appaga perché troppo tecnico mentre tu ti senti creativo, ma insomma c’è di peggio. Il signore, che sembra Clint Eastwood in mezzogiorno di fuoco, ti risponde: “si c’è di peggio, ma anche la tua mi sembra una vita un po' di merda”. Aggiunge poi: “e se anche non lo fosse stata così brutta, tu la vedi così. E’ dentro di te che lo devi capire, per poi agire. “e se ne va.
Tu ci rifletti, ripensi a tutti i passaggi della legge dii attrazione, al faggio, alle faccette e poi ti dici: “in effetti non è stato semplice” e, zitto zitto, te ne vai a casa. Siccome sai che è vietato rimuginare, chiami i tuoi amici a cena per distarti ma intanto ci pensi alle parole di quello sconosciuto. Era dentro di te quello che cercavi, ora lo capisci, era guardare in faccia ai tuoi sentimenti quello che ti mancava, il legittimarti a “confessare” che non è stato facile, che non sei felice”. Te lo sei detto, ora sei completo, hai capito di cosa si tratta. Decidi dopo questa scoperta interiore di andare avanti, più consapevole ed entusiasta di prima. Quel signore altro non ha fatto che dirti in faccia cosa pensava, senza slogan e senza nulla in cambio ti ha fatto trovare quello che cercavi dentro di te. E in meno di 60 secondi.
AUTORI PER RAGAZZINI
di Andrea Malabaila
È vero che quando qualcuno dice che Fitzgerald è un autore sopravvalutato, che la trama del Grande Gatsby è banale, che i personaggi sono noiosi e insipidi, che noia che barba che barba che noia, e lo spara così, senza motivarlo ma con una sufficienza insostenibile, è vero che mi saltano i nervi molto più di quando qualcuno critica me o i miei libri. Lo stesso mi succede quando qualcuno ritiene Proust illeggibile (ma di sicuro non ha mai provato a leggerlo) o ritiene Salinger un autore per ragazzini ritardati.
Il motivo è semplice: i miei libri sono quello che sono riuscito a fare finora. Questi invece sono i libri che rappresentano ciò che idealmente vorrei riuscire a fare. Stroncare un obiettivo è peggio che stroncare quel che si è già fatto. È come dire: "Stai faticando tanto per raggiungere qualcosa che io ritengo un'immensa cazzata."
ADDIO…
di Alessandro Schiapparelli
Sto al bar. Ecco cosa faccio. A bere, ovviamente. Ma non solo: ascolto anche la musica e, quando arriva un mio amico, mi tolgo le cuffie e chiacchiero. Non chiacchiero con tutti volentieri alla stessa maniera. C'è chi mi fa piacere scambiarci quattro chiacchiere e chi no. Mica tutte le persone sono uguali. Spesso si parla di figa. Normale. Si commentano le ragazze che passano. Si, siamo dei vecchi bavosi. Ah,ah... Oppure ci insultiamo a vicenda. Ci diamo dei ricchioni e così via. Del resto, forse, non c'è molto da dire sulle chiacchiere da bar. Ci si passa il tempo fra una birra e l'altra e una sigaretta e l'altra. Una vita salutare, quella da bar. Indubbiamente. È per questo che non arriverò alla pensione. Purtroppo. E mi rode il culo. Questa cosa. Ma non ci posso fare niente. Mi piace bere e fumare. Non credo di essere l'unico. Anzi: tutti i miei amici del bar non fanno altro. Forse siamo solo dei poveracci. Ma non credo. Siamo, fondamentalmente, abbastanza intelligenti e con una discreta cultura. Anche se, quasi tutti, tranne me, sono di destra. Ma a me non me ne frega un cazzo. Io, quando fanno i loro discorsi fascisti, mi metto le cuffie nelle orecchie. Io sono di sinistra. Quale sinistra non lo so. Non, sicuramente, di destra. Non lo sono mai stato e, mai, lo sarò. Sono molto deluso dai nostri partiti e dalla politica in generale. Beh, diciamo come tutti gli italiani. E, quindi, che fare? Non andare a votare? Sbagliato. È morta tanta gente per avere questo diritto. Mi diceva, ieri sera, un mio amico, che Mark Twain disse che, se contasse qualcosa, andare a votare, non ce lo permetterebbero. Frase che fa riflettere. E che ha un fondo di verità. Credo. Ma, io, sono troppo ignorante di queste cose. Non guardo mai la tv e non leggo i giornali. Sono disinformato. Diciamo così. Non mi interessa informarmi. Forse sono troppo preso dalle mie cose. Dai miei problemi della vita. Dalle preoccupazioni. Dalle incombenze. E paga di qua. Paga di là. Sempre da pagare c'è. Puttana eva. Ma non mi posso lamentare. Prendo un buono stipendio. C'è gente che si bacerebbe i gomiti a prendere i soldi che prendo io. Invece, magari, devono fare con mille euro al mese. Una vera miseria. Nel 2022. Ma si sa. I diritti se ne sono andati affanculo. E così gli stipendi. Negli ultimi vent'anni. Gli italiani sono così. Non si sanno incazzare per le cose che lo meriterebbero. S'incazzano solo quando parlano di calcio. Sti coglioni. Come se fosse una cosa importante occuparsi di ragazzi di vent'anni che prendono qualche milione di euro all'anno. Per fare, poi, una cosa che li diverte. E, allora, uno cha sta chiuso in un'officina otto ore al giorno a bestemmiare? Cosa dovrebbe dire? È la vita. C'è chi nasce fortunato e chi no. Io, dal canto mio, mi ritengo fortunato. Non invidio nessuno. Mi basta quello che ho. Che non è poco. Ho molto. E ho molti amici. Gente che mi rispetta e che mi vuole bene. Credo che sia sufficiente. Per condurre una vita dignitosa. Solo che regga, tutto sommato, la salute, e sono a posto. Già, la salute. Che io faccio di tutto per rovinarla. Non sono un salutista. Per niente. Ho una tosse che fa schifo. Saranno le sessanta sigarette che fumo quotidianamente? Credo proprio di si. E ho una pancia che fa cagare. Saranno i due litri di birra che bevo al giorno? Credo proprio di si. Ma è la mia vita. E, ognuno, ha il diritto di viverla come vuole. Senza interferenze. Perché uno dovrebbe mettere il becco nella vita altrui?
Credo che sia profondamente ingiusto. Ad esempio, mio fratello, che non beve, non apprezza il fatto che io lo faccia. Ma sono cazzi miei. Ho condotto una vita abbastanza disastrosa. Ma ho avuto una compagna fedele di viaggio: la depressione. Mi attanaglia da tanto tempo che non me lo ricordo neanche da quando sono depresso. Forse da quando si è suicidato mio padre. Avevo quattordici anni. E ci siamo trasferiti qui in Emilia. Dal Piemonte. Ho dovuto costruirmi una vita qui. Nuovi amici e compagnia bella. Tutto nuovo. Non è stato per niente facile. Non lo sarebbe stato per nessuno. Tanto meno per me. Ma ci siamo riusciti, io e mio fratello. Ora lui è felicemente sposato e ha due figli. Già grandi, ormai. Una quindici anni e, l'altro, tredici. Sono i miei due splendidi nipoti. Ai quali voglio un bene dell'anima. Non ho avuto altre compagne, a parte la depressione. Si, qualcosa, ogni tanto. Ma niente di così importante. E nemmeno finito bene. A parte che, se una storia finisce, non finisce bene. Di sicuro. Quindi non me ne preoccupo. Solo che vada in pensione e me ne vado affanculo in qualche buco del culo del mondo. Con la pensione che prenderò non posso permettermi di continuare ad abitare qua. Devo trovare un posto dove la vita costi meno. Avevo pensato al Portogallo. Ci vanno molti pensionati italiani. Ma, chissà dove andrò a sbattere la testa? Non mi dispiacerebbe andare a Cuba. Solo che, dicono, ci sia, veramente, troppo caldo. E, io, lo patisco troppo. Se no vado a Capo Nord. Tanto una birreria ci sarà anche lì. Figurati se non c'è. Addio...
***
E' ancora martedì per due minuti. Speravo di svegliarmi più tardi. E, invece, eccomi qua. A bere caffè. Così non dormo proprio più un cazzo. Sarà una notte lunghissima. Beh: ieri ho dormito tutto il giorno... Ho fatto uno stop alcolico. Ne avevo bisogno. Ho iniziato i giorni delle mie vacanze con il gas spalancato. Troppo. Lunedì, poi, c'ho veramente dato del gas. Non mi ricordo neanche cosa ho detto in bar in preda allo stato alcolico. Sicuramente stronzate. La cosa che mi riesce meglio fare. Mi piace la notte. Scrivere di notte. Mi sento molto tranquillo, la notte. E mi riesce meglio scrivere. Con la mia musica nelle orecchie e nessun rumore a disturbare la mai quiete. Posso esprimere i miei pensieri senza nessun disturbo. E mi concentro meglio. Con le mie immancabili sigarette. Bene: oggi non ho bevuto. Domani come starò? Direi meglio. Se riesco a dormire un po' stanotte. Non come le due ore che ho dormito adesso. Troppo poche se rimangono le uniche. Due ore di sonno sono troppo poche. E sto bevendo caffè. Mah, io, nella mia vita, faccio tutto al contrario. Pensavo a quelli cha hanno famiglia. Vi sentite meglio di me? Mi considerate uno sfigato? Pensatelo pure, che a me non me ne frega un cazzo.
Ho cercato di fare quello che ho potuto. Di stare il meglio che potevo. Nonostante la depressione e i vizi: alcol, fumo e puttane. Mi sono anche costati un mucchio di soldi, questi vizi. Eh, tutto si paga. Nella vita. E penso a quando la mia salute mi verrà a chiedere il conto delle mie imprese. Sarà troppo tardi per recriminare e prendersela con se stessi. Me ne farò una ragione. Per il momento sono abbastanza disastrato. È già un bel periodo che mi lavo poco. Per non parlare dei capelli. Sarà un mese che non me li lavo. E sono lunghi. Tutti attorcigliati. Mi piace arrotolarmeli con le dita della mano. È un vizio che ho fin da piccolo. Ma sento che, così, i miei capelli hanno un' anima. Non sono lunghi come tutti quelli che hanno i capelli lunghi belli puliti e pettinati. Io no. Sono in disordine. Come disordinata è tutta la mia vita. Bevendo non si può pretendere di condurre una vita ordinata. Almeno, per quanto mi riguarda. Rimando sempre quasi tutto. Fino all'ultimo momento disponibile. Tipo che è da mesi che ho male alle costole vicino al cuore. Dovrei fare i raggi al torace ma non li ho ancora fatti. Adesso, ormai, mi sta passando. Forse erano solo incrinate. È già la seconda volta che mi succede. Una cosa strana. Ma, non avendo fatto i raggi, appunto, non so cosa sia successo. Sono dannatamente pigro. E me ne rammaricavo. Adesso no. Mi va bene così. Ho imparato ad accettarmi. Ad accettare la stanchezza quando ti presenti al lavoro perché, la sera prima, ti sei fatto quattro birre medie. È normale che sia così. Una volta non mi accettavo. Adesso si. È per questo, forse, che ho smesso gli antidepressivi. E gli ansiolitici. Quasi del tutto almeno. Questi ultimi. Ne prendo uno al lavoro la mattina, per alleviare i sintomi delle birre della sera prima. Sono un drogato. Anche se non ho mai fatto uso di droghe. Nemmeno canne. Penso di avere fatto quattro tiri di maria in tutta la mia vita. Per il resto tanta birra. E sigarette. Punto. Mi viene in mente la tabaccaia qui di fronte a casa mia. Le sto sul cazzo. È simpatica con tutti tranne che con me. Mi ci tocca andarci perché è chiuso il mio tabaccaio di fiducia. Quello solito in cui vado. Quello di fianco al bar. È molto comodo: stai lì e hai tutto l'occorrente per vivere. Sigarette e birra. Ah, ah... Che vita di merda. Non faccio altro che stare nei bar. Quello mattutino e quello dell'aperitivo. Si, perché io la sera vado a letto presto. Massimo le dieci. Do tutto la mattina e il pomeriggio dalle sei alle nove. Poi, sono distrutto. Mangio un panino e me ne vado a letto. Si perché, dopo che ho mangiato, mi viene un sonno bestia e, tutto quello che voglio, è andarmene a letto. Basta. Fine dei giochi. Poi, viene il mattino dopo. Nel quale accusi le birre del giorno prima e l'unico modo che ho per alleviarne i sintomi e riprendere a bere. E così via. Sempre distrutto. Un giorno peggio dell'altro. Oggi, quindi, mi sono preso una pausa. Erano già tre giorni di fila che ci davo dentro. Le ferie fanno male. Almeno a me. Bisogna darsi una regola. Ma io sono uno sregolato per natura. Non mi so limitare. Quando sono al bar con la mia birra davanti ne ordino un'altra prima ancora di finirla. Non voglio rimanerne senza neanche un secondo. Mi rompe pure il cazzo quando mi devo prendere una pausa per andare a pisciare. Si, mi rompe proprio il cazzo. Soprattutto perché c'è da andare al piano superiore e fare, quindi, le scale. Mi rompe perdere quei due minuti che mi interrompono dalle chiacchiere e dalla mia occupazione preferita. Potrei andare da qualche parte in questi venti giorni di ferie che ho. Sarebbe naturale. Ma dovrei cercare di spendere anche poco. Mi aspettano delle spese dopo le ferie. Un mio amico vorrebbe andare in Austria a trovare una conosciuta tramite un giochino su internet. Io gli ho detto che voglio andare con lui e che mi trovino uno straccio di amica con la quale passare una serata in compagnia. Ma, il mio amico, va troppo forte in macchina e, io, ne ho paura. Mah, vedremo. Per il momento scrivo. Ecco, cosa faccio. Come sempre...
RICONDIZIONATI
di Davide Bregola
Rigenerati, ricondizionati, la lista si arricchisce ogni giorno. Stiamo passando la vita a dare valore a cose che davanti a noi, oltre alla miseria, creano transumazioni di tutti i valori e di tutti i miti. Allora ripensiamo all’insegna con la scritta Open che lampeggia e ci invita a entrare per un po’ di relax. Ti orienti vicino all’Euro Store dove c’è una Cadillac rosa parcheggiata davanti alla ditta in fallimento e gioisci per tutta l’acqua che passa dentro ai serbatoi pensili in calcestruzzo armato. Ti senti vagamente assediato da gente che tende ad andare a vedere le cose tra costruzioni mastodontiche e polifunzionali. E’ tutto un parco per lo svago, tutto un terziario, un settore direzionale. Padroncini sfrecciano veloci sulla Statale e sembrano ripetere mentalmente la filastrocca: Paullese Soncinese Gardesana occidentale Sebina orientale Padana superiore. Colonne megalitiche in vetroresina ci fanno dimenticare dove siamo, e il demone interiore ci avverte d’essere arrivati a destinazione. Rame nel reame, novità e svuotamento dei cestini. La città del quarto d’ora è arrivata. Il saccheggio fagocita e ridistribuisce. Buone vibes nella periferia in piena decadenza, tra un ricco buffet allestito in modo semplice ma elegante nell’epicentro del disastro. Si tratta di un evento di notevole spessore.
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Tra un boccone e l’altro di poké urlano ragazzi esagitati. Il Metaverso s’è dimostrato un mezzo fallimento, alla Silicon Valley lo sanno, ma vogliono propinarci ridicoli strumenti da indossare. Urla la frizione di un veicolo sfatto mentre il database attesta che sta andando tutto bene. La mappatura delle aree dismesse ci suggerisce di accettare l’incompiuto e l’infedele tracciamento segnala siti archeologici inesistenti. Si mangia a volontà negli spazi del ristoro, ti danno il companatico a otto euro e cinquanta e non ci stanno dentro ma sono costretti a riciclare. Le serre luccicano grazie al riverbero del sole che è sempre vicino a un casello autostradale. Attaccati ai ponti e ai cavalcavia orrendi fregi con scritte illeggibili accompagnano l’automobilista inferocito appena uscito dal comparto industriale. Rumore di fondo, umore a fondo. Tutti alzano la voce per farsi sentire, tutti scrivono con lettere maiuscole ed esclamativi a iosa. Così non si sente più chi scorreggia e tra un po’ anche l’olfatto sarà un senso ottenebrato.
SCRITTORI CHE PITTURANO
di Francesco Dezio
Davide Bregola
Lupo
Carpa
Faccia
Matteo 30X30 acrilico su tela
Autoritratto -il terzo sé- olio su tela 30X30
Ragazzo con gli occhi verdi acrilico su tela 30X30
Autoritratto
Due specchi
Bleah!
ROBBABUONACHECIPIACE
La voce di William
Alberto Savinio
Una delle sequenze comiche più divertenti della storia
Riccione 1985
Andrea Pazienza e Filippo Scozzari
LA POESIA DI ZAVATTINI CON CUI CHIUDIAMO MOLLETTE TUTTE LE VOLTE PERCHÉ SÌ
AN LAMP
In dal dasdarm’an lamp:
saresia Crést?
D’an po’ c’a gl’o al suspét,
ineffabilmente, in lengua,
na specie ad spüra ad smania,
voia ad sigà basà sbragà cambià.
E adès cusa faghia?
Lasèm an po’ ambientà.
*
UN LAMPO
Nello svegliarmi un lampo:
sarei Cristo?
Da un po’ il sospetto ce l’avevo,
ineffabilmente, in linua,
una specie di prurito, di smania,
voglia di piangere baciare spaccare cambiare.
E adesso che fare?
Lasciatemi un po’ ambientare.
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